Agosto 2021 – Thyrfing

 

Mentre il Gran Concilio dei padroni di pioggia e tempesta, di vento e neve si aduna e si prepara furibondo per il suo impetuoso ritorno da manuale, la vostra beneamata loggia di tenebra si è anch’essa nuovamente riunita per testimoniare invece chi, cosa e soprattutto come abbia nell’ultimo mese conclusosi potuto prendere con la forza il trono nelle nostre antiche sale di pietra sorrette da colonnati di cenere e avvolte dalla magia di montagne eterne. Il verdetto suona col vibrare di incantesimi nella notte, i cui immensi poteri di mente e memoria, di rigenerazione e visione hanno concesso di rifugiarsi all’interno delle nostre mura sintetiche sotto forma di un battesimo di fuoco e fauci divaricate, di catene del fato e rovina spezzate da artigli di ferro temprato, dello spirito del tuono e dell’elementale a tutto tondo messi in musica sia dagli svedesi Thyrfing con il loro atteso ritorno, il mitologicamente intitolato e superlativo “Vanagandr” (Despotz Records), che dai fieri tallonatori statunitensi Wolves In The Throne Room con l’altrettanto eccezionale “Primordial Arcana”.
Per chi non ne avesse abbastanza così, nonché per pura ma fortunata coincidenza di sorte, la selezione odierna prosegue specularmente con altre due nomine singole che riprendono a treccia proprio il carattere concettuale o spirituale (quando non direttamente stilistico) dei primi due in lizza appena presentati; e ciononostante è ora giunto il momento d’iniziare a celebrare la rinascita imminente dell’oscurità autunnale con lo scontro di forze tra la genesi ormai lontana dell’appassita Eostre e l’altrettanta abbondanza dell’oltretombale Cernunnos e del suo alce bianco, del suo cervo cremisi – viaggiando così oltre i confini dell’umano, bevendo la pioggia versata nell’ecatombe ed attraversando i cancelli dorati del regno lunare che separa dall’abisso ruggente e dalla sepoltura nel ghiaccio verso Niflheimr, verso Hel, incontro alla landa delle tenebre, nell’ormai terminata attesa di tornare sul vascello Naglfar per annientare le forze del bene come ciclicamente accade laggiù, in profondità, sotto la terra dove il sole mai si è fatto vivo.

 

 

“Sbalorditiva magia norrena, consumante oscurità, inquietante eclettismo esecutivo ed originalità indiscutibili diventano una sola cosa in “Vanagandr”, dove i Thyrfing svelano un afflato cinematografico ed un’ambizione avvolgente totalmente inedita: le tastiere, sinfoniche, folkloristiche ed incantate al pari diventano un nuovo modo per abbracciare e stregare il più bruciante e fondente dei Viking Metal, per dare un carattere totalmente unico ad ognuno degli otto ricchissimi capitoli che lo compongono con estrema diversità tra i clamorosi morsi di Rydén, riff più solidi dell’acciaio, groove irresistibilmente granitico e complesse bordate di un dirompente Black Metal che parte dalla title-track che nel 2013 chiudeva “De Ödeslösa” per arrivare a sciogliere le ossa in episodi del calibro di “Träldomsord”, “Håg Och Minne” o “Järnhand”. Ad un punto simile maturare ulteriormente significherebbe marcire, e i Thyrfing spostano pertanto l’asticella con freschezza paradossale reinventando in più e più punti una formula costantemente mutevole e polimorfica rimanendo sempre e profondamente i medesimi, consegnando con songwriting tanto eccelso quanto atipico l’ennesimo disco seriamente nuovo ed altrettanto francamente magistrale, nonché dimostrando di essere i re di un genere intero quali da tempo e senza la minima remora sono.”

Gli anni che separano “De Ödeslösa” e “Vanagandr” si sentono tutti: non in fatto di stanchezza stilistica o di radicale e spiazzante cambiamento, quanto piuttosto si respirano a pieni polmoni nella cura a tutto tondo infusa negli otto capitoli che tracciano le linee del nuovo full-length; non un minuzioso e ossessivo labor limae, ma una composizione fatta di sopraffini arrangiamenti, incastonamenti e layer perfettamente incisi in pietra, capaci di far vibrare ogni nota di incredibile intensità e di affondare il colpo ad ogni passaggio. Il carico tragico delle ultime prove in studio pervade con il suo odore di sangue raggrumato i basamenti del suono, penetrante e sopraffino ma celato sotto una grandiosità rinnovata, splendente e saettante di sfumature auree e cavalcate infuocate: banalizzare il mortifero e squillante, urgente dies irae dei Thyrfing, descrivendolo come un disco fra vecchio e nuovo, sarebbe un terribile delitto che non renderebbe minimamente onore ad uno dei dischi più maturi, completi e illuminanti che la band abbia mai scritto.”

L’ottava fatica degli svedesi Thyrfing mette in luce un bagaglio artistico seriamente inimitabile ma presenta anche alcune caratteristiche che vanno, sulle prime, ad appesantirne l’ascolto. “Vanagandr” si sviluppa infatti tra sonorità Black Metal e ritmi Rock, impregnate di quell’aria tutta Dark al limite del decadente inquieto e che ben viene messa in risalto da raffinate trame di matrice folkloristica: violino e tastiere più ricche che mai compiono infatti un ruolo essenziale nel cucire tra di loro i vari passaggi e le trasformazioni presenti tra le canzoni, anche se purtroppo a volte finiscono troppo assorbite nel mix generale degli strumenti finendo per impattare meno di quanto potrebbero (si prenda come esempio contrario lo stile più scarno di “De Ödeslösa”, che il sottoscritto aveva apprezzato alla follia). Non manca comunque l’intrattenimento portato dalle varie soluzioni vocali (“Håg Och Minne” già una preferita) sulle quali si modellano una serie di delicate soluzioni sinfoniche che aumentano il fascino dell’ascolto incitando ad approfondire meglio ciò che ci viene offerto: un prodotto in definitiva più che solido, ricco e di ottima fattura che mi auguro continui a crescere nel breve periodo, ma che potenzialmente non sembra forse ai primi ascolti avere tutta la longevità immortale di alcuni altri dischi della band.”

“Vanagandr”, o più in generale l’intera discografia dei Thyrfing nell’ultimo ventennio, non è che l’ennesima prova di come i prodotti personali ed artistici a tutto tondo non debbano per forza essere contorti e cerebrali come spesso si vorrebbe far credere allo scopo di vendere pure la peggio spazzatura. La concretezza di un simile gruppo, forse quello che meglio di tutti ha saputo attualizzare un filone incompreso, deturpato e dibattuto quando non apertamente sbeffeggiato come il Viking, non ha per nulla sofferto il prolungato stop creativo testimoniato evidentemente solo all’esterno e regala altri otto scorci della rarefatta dimensione esplorata dagli svedesi, tenebrosa eppure di un respiro ampio come sono pochissimi altri soundscape nell’intero genere (bastino la misura e la grazia con cui suona il finale sulla carta bombastico). Chitarre e sezione ritmica sono un ciclo seriemente vitale in costante movimento sul quale le enormi orchestrazioni talvolta appaiono fugaci e talvolta reclamano la scena con la loro forza apocalittica, nitidissima espressione sonora del Fenrir in copertina che presto sarà libero dalle catene: magari prima che passino altri otto anni.”

“Tanti anni di attesa, è vero, ma ne è valsa decisamente la pena dal precedente album “De Ödeslösa” per poter riabbracciare i Thyrfing – peraltro dopo un disco che già segnò un tangibile ritorno a scenari e ritmi più epici, sebbene avvolti dall’atmosfera e chiave di lettura oscura della loro peculiare evoluzione. Un ritorno ancor più letale in un simile senso si è manifestato ed ampliato proprio nel nuovo “Vanagandr”, che ci consegna i vichinghi svedesi non solo in una nuova, splendida forma (cosa non di poco conto, considerati gli otto anni e soprattutto la dipartita dello storico tastierista Peter Löf), ma fortissimi nel riuscire nel costante e variegato intento di creare trame solenni, ormai con dalla loro il più grande bagaglio di esperienza e maturità mai messo alla prova dal gruppo. Ottimi come sempre i riff, cuore della composizione (“Järnhand”), ma su tutti e tutto svetta sicuramente la prova vocale di Jens Rydén che non solo si riconferma uno strabiliante vocalist estremo, ma aggiunge qui altre tonalità e sfumature alla performance della sua inconfondibile voce, per quella che potremmo tranquillamete bollare quale la sua miglior prova vocale di sempre (specialmente nella sinergia con la voce pulita di Toni Kocmut, altro marchio di fabbrica nel suono del gruppo).”

Quello che per due dei sottoscritti è l’effettivo disco del mese di agosto, l’anticipato “Primordial Arcana” (fuori per Century Media in Europa) dei Wolves In The Throne Room. Il settimo dei fratelli Weaver, quattro anni dopo il vincente “Thrice Woven”, conquista come un fulmine il cuore di oltre metà redazione nonché un posto, non meno di “Vanagandr”, tra le migliori uscite dell’annata – ed uno tra le migliori di sempre della band.

“Non vi è nulla di romanticizzato o idealizzato, sterilmente rituale o plastico nella musica inclusa in “Primordial Arcana”. Non un’ode alla natura ma la natura stessa che distrugge e reclama il suo più legittimo posto sul trono tirando l’essere uomo dalle sue radici più profonde ed interiori per guardare nell’abisso di cristallo in cui ogni scrosciata di blast-beat ha l’autentica potenza di una cascata, e tutte le immagini congiurate in musica la consistenza spessa e penetrante della nebbia che, mistica, avvolge aghifoglie alti come il volare delle ambientazioni ricreate da sintetizzatori e dalle rarefazioni distrutte dal travolgere maniacalmente solido di rullate che sembrano provenire da un’altra dimensione ignota allo spirito mortale, da un altro tempo senza tempo; “Primordial Arcana” è il continuo della ricerca iniziata con “Celestial Lineage” di un luogo casa di energie altre che troppo spesso ignoriamo, ma cambiata di segno e rivolta verso le profondità e i misteri della terra. Un lavoro di cuore ed anima, nonché un picco artistico per  uno dei gruppi più rilevanti sul pianeta.”

Quando i seguaci dei Wolves In The Throne Room approdano sotto le fronde oscure di una nuova uscita, sanno bene di trovarvi quella sovrastante tempesta evocativa, quel suadente smarrimento atmosferico in grado di segnare generazionalmente tutto un certo tipo di Black Metal. Ciò che ogni volta è incerto tuttavia è il modo in cui i due Weaver saranno in grado di ampliare e declinare in modo diverso il proprio mondo. Con “Primordial Arcana” le fitte volute prendono la forma di scenari minacciosi e dall’incontenibile potenza elementale; cupe nubi si affollano all’orizzonte e i sintetizzatori cosmici di “Thrice Woven” virano su lidi altrettanti magici ma più terreni, sospesi a mezz’aria e pronti ad inabissarsi nel terriccio scuro, penetrando sempre più nelle profondità, esplorando scenari tellurici e dal totalizzante potere primordiale. Complice una produzione ad opera degli stessi artefici del disco, che da navigati illusionisti ne accentuano e inaspriscono gli aspetti salienti e caratterizzanti, i Wolves In The Throne Room ci concedono una nuova opera dalla struttura ipnotica e immersiva, ennesimo disco semplicemente sensazionale che sarà in grado di rimanere nel tempo.”

Sontuoso ritorno targato Wolves In The Throne Room che va a spezzare l’ormai evidentemente indovuta concezione secondo cui per creare atmosfere suggestive siano necessari brani lunghi mezza giornata, riuscendo in “Primordial Arcana” al contrario a confezionare canzoni di relativamente breve durata ma allo stesso tempo estremamente creative ed impattanti dal punto di vista atmosferico. Le composizioni vengono quindi asciugate da momenti puramente atti ad allungare il brodo o ad ambientare l’ascoltatore, e colpiscono sin dai secondi iniziali per via di una forza d’immagine talmente forte da non necessitare più di introduzioni; inoltre, il sound è caratterizzato da un tocco organico eccezionale (specialmente emblematico nella seconda traccia “Spirit Of Lightning”) e il modo in cui la band gioca con la componente Ambient la mostra con ogni probabilità all’apice della propria carriera. L’aria che si respira è quella del sottobosco, nebbioso, umido, capace di far sudare anche la plastica, perfetto dunque per contrastare con la raffinatezza ed il misticismo tipici del Black Metal di casa Olympia. “Primordial Arcana” è dunque senza alcun dubbio un album fortemente al di sopra della media, che chi scrive suppone peraltro di non avere ancora snocciolato quanto merita, e che sicuramente continuerà a crescere e a sorprendere per ancora molto tempo.”

Il primo dei due dischi a nomina singola che servono a regalar cornice all’articolo di questo mese, ovvero “Hour Of Ragnarok” dei polacchi Graveland. Come ci narra Feanor, il numero venti (!) nonché primo autentico nuovo album di materiale inedito in quasi una decade anche per Rob Darken, fuori da fine agosto per l’italiana The Oath Records ed Inferna Profundus, che nonostante i trenta anni di carriera celebrata quest’anno riesce a far trovare al gruppo un nuovo livello espressivo.

“Se si escludono le ri-registrazioni di album peculiari come “The Fire Of Awakening” o “Dawn Of Iron Blades”, anche nel caso del progetto polacco guidato dal leggendario Rob Darken abbiamo atteso la bellezza di otto anni dal precedente full “Thunderbolts Of The Gods”. Ed il nuovo “Hour Of Ragnarok” è fondamentalmente un disco che non segna moltissimi cambiamenti nel suono più recente dell’ormai stabilitissimo progetto: solido, sporco ed epico Pagan/Viking Metal, dove le tastiere sono le protagoniste melodiche ed atmosferiche incontrastate, con il solito vocione gracchiante del Fudali speso nel narrare le gesta di divinità, uomini e guerrieri; ma a questo giro si ha come graditissima novità una batteria fisica, suonata dal nostrano Ahrin (ex-Abhor nonché vecchio componente dal vivo dei Nova), che per forza di cose dona finalmente alle canzoni maggiore carica, maggiore linfa, maggior vigore e sangue, specialmente nelle parti più tirate dove i blast-beat riescono come raramente accaduto in precedenza ad accompagnare l’ascoltatore nel pieno delle immagini e narrazioni del Crepuscolo degli Dei.”

Sigillano tutto i Windfaerer rilasciando per Avantgarde “Breaths Of Elder Dawns”: ambizioso disco che sfonda il traguardo dell’ora e passa di durata proponendosi, nella linea di un Black Metal più atmosferico e più americano dei connazionali Wayfarer che allunga invece le proprie radici verso le ombre d’Albione nel vecchio continente di Wodensthrone e Winterfylleth, come passepartout fra linguaggi sassoni e quelli celtici degli Heol Telwen.

Statunitensi per nascita ma europei e più precisamente iberici nell’anima, i Windfaerer con il loro quarto lavoro “Breaths Of Elder Dawns”, si riconfermano come uno fra i giovani gruppi più interessanti nell’underground a stelle e strisce; magari uno non particolarmente innovativo nella proposta oggi come ieri, nondimeno un ottimo Black/Folk Metal a tratti parecchio atmosferico che cresce e si fa sempre più valido col passare dell prove. Esempio particolare ne è qui la sezione dal sapore folkloristico, non solo scandita dai motivi delle chitarre ma anche e soprattutto dal violino elettrico, vero protagonista in alcune canzoni più tirate dove suona come una scheggia impazzita, mentre nei momenti atmosferici regala esattamente quel tocco in più che fa la differenza tra mediocrità e splendore. Tra “Into the Mist” e “Starcrossed”, probabili pezzi migliori dell’album, i ragazzi del New Jersey lasciano una profonda testimonianza del sempiterno dialogo che è ponte musicale tra il panorama estremo statunitense e quello del vecchio continente, ma soprattutto trovano quella che ad oggi è la quadratura del loro personale suono.”

E anche per questa volta potrà pure essere stato detto tutto, ma siate (nuovamente) avvisati che là fuori, lungo quel settembre in conclusione che andremo a vivisezionare tra qualche tempo, anche se non se ne può più parlare in giro è comunque uscito nulla di meno che un pochissimo reclamizzato nuovo disco dei nostri favoriti Peste Noire di ritorno in Francia (disponibile e nuovamente in vendita qui dall’usuale sospetto tuttofare una volta che i pre-order saranno finalmente stati spediti tutti, tentativamente attorno al primo giorno di ottobre) e che pare proprio domani voglia già uscire un nuovo disco dei polacchi Kły che tanto abbiamo apprezzato l’anno scorso con il grandioso “Wyrzyny”. Per dirne giusto due e non voler assolutamente esagerare con la sperimentazione. Se però, volendo restare ancora un momento sul conclusosi agosto, i nostri quattro bellissimi vi lasciano in qualche modo vogliosi d’altro -ed in particolare di qualcosa di più… grezzo- accertatevi di dare una chance o due anche al ritorno dei novantiani tedeschi Baxaxaxa, il buon “Catacomb Cult”, primo full-length ufficiale del gruppo che in un non sospetto 1992 rilasciò il demo “Hellfire”. Fuori per l’affezionata The Sinister Flame Records, con cui ormai dovreste abbondantemente aver fatto amicizia.
That’s all folks!

 

Matteo “Theo” Damiani

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